Dentro, c'è una domanda. La domanda è terribile. Fluisce nella sala. Cala sul pavimento. S'affigge alle pareti. Si rannicchia alta sul soffitto. S'impadronisce d'ognuno. La sala si dilata. Il mondo diventa un immenso punto interrogativo.
Friederich Dürenmatt
"La salsiccia", da "Racconti"
Ho sentito il bisogno di pesarmi una settimana fa, precisamente lo scorso
lunedì mattina. So che se avessi precedentemente riferito in tempo di questa
mia idea al Dottor R., posso facilmente immaginare che non avrebbe
acconsentito. Il motivo posso intuirlo senza troppi sforzi: darei troppo valore
a quel numero stampato sulla bilancia. Ma quella mattina non ho resistito.
Coscientemente (perchè qui non si parla di inconscio: c'è sempre una ragione), so che pesandomi avrei
avvalorato la mia idea di "essere-grassa". Tant'è che dal risultato
ne ho fatta conseguire una sensazione catastrofica: la bilancia ha stampato sul
display un "bel" 62.9 kg. Roba che se avesse potuto avere
l'atto della parola, mi avrebbe sicuramente sogghignato: ben-ti-sta-brutta-vacca. Il che
significa che da Gennaio fino ad oggi sono riuscita a mettere 1 kg e 9 etti. Un
chilo al mese, mediamente. Ho avuto i brividi lungo la schiena. E' pur vero che
non potevo pretendere di essere rimasta ai 61 kg (non che mi facessero piacere,
ma almeno se posso scegliere, preferisco questi). E quindi, ogni momento è
buono per ricordarmi che sono parecchio indietro rispetto ai miei obiettivi. Se
potessi vedere ora il Dottor J. (il nutrizionista che ho beatamente lasciato
perdere) mi direbbe certamente "Lei può dimagrire solo con il cibo".
E' successo, per la seconda volta, che mi
sia messa a piangere in palestra, durante il corso di total body. Non so
proprio perchè quella sera, fatto sta che non riuscivo a concentrarmi, non
seguivo gli esercizi e mi sono mossa solo per 30 minuti. Ero costantemente
distratta dal mio riflesso: mi sistemavo la canottiera, i pantaloni. E così più
e più volte. Ho davvero provato a mettere in atto i famosi esercizi che
praticavo con la Dottoressa D., ma nulla da fare. Non ce la facevo proprio.
Dicevo alla mia amica che me ne sarei andata, ma lei provava a convincermi,
dicendo che in fondo mancavano solo 20 minuti alla fine. Avrei voluto dirle che
non sopportavo più di vedermi allo specchio. Si è avvicinata la trainer,
chiedendomi se mi facesse male qualcosa, ed io non ho avuto modo neanche di
spiccicare mezza parola, che mi sono messa a piangere, e sono andata via. Non
so davvero perchè non sia riuscita a resistere. Il giorno dopo sembrava fosse
andato tutto bene, nel senso che non ne ero rimasta "scossa" o chissà
che cosa. Mi stranisco facilmente, evidentemente. Il fatto è che mi piacerebbe
sentirmi di essere più libera, ma appena penso a questa possibilità, mi vengono
in mente tanti di quei contro, che ricaccio via la prima idea. E' che sembra
che ora tutto debba essere così. Il Dottor R. dice che devo concentrarmi su
altro, investire in altro. Ma questa è una storia che già conosciamo tutte.
Sapete, è sempre più difficile cercare di
cambiare. E' difficile abituarsi all'idea di un ipotetico cambiamento. Non sto
dicendo implicitamente di non essere consapevole dei miei
comportamenti/ragionamenti irrazionali. Questi ormai li conosco anche
abbastanza bene. E poi, come vuole il famoso modo di dire: tra il dire ed il
fare c'è di mezzo il mare. Ma ora è l'abitudine a "farla da padrona",
come si suol dire. Cioè, l'idea di cambiare, lo ammetto, mi spaventa. Perchè il
mio io ora è
"impostato" in tal modo da diversi anni, e poi l'idea di provare a
prendere un'altra strada, mi farebbe sentire persa. La muraglia che mi sono
costruita in questi anni ora è troppo alta da scavalcare, e ad oggi
sinceramente, non ho ancora desiderio di provare a scalarla. E se stessi bene
così? E se mi andasse bene? E se trovassi il giusto equilibrio per poterci
vivere? E se dopo tutto, fosse questa la soluzione? In fondo non ne uscirò mai
completamente guarita dai disturbi di condotta alimentare e questo lo sappiamo
tutte. Il Dottor R., ritiene difatti che se continuassi a comportarmi in questo
modo, sarò sempre dipendente dal cibo. Mentre la mia amica C., per esempio,
vorrebbe che mi lasciassi andare: anziché stare sempre attenta a come la gente
può vedermi in un dato momento (se la maglietta, per dire, è messa bene
affinché non mi si veda l'addome) e quindi che mi lasciassi vivere un pò di
più. Pare facile.
Pare facile non rendersi conto di quello
che io vedo, penso e percepisco di me medesima. Se potessi svuoterei questo
corpo, e darei la possibilità a chiunque voglia, di viverci in queste membra
carnose. Se potessi strapparmi gli occhi, li darei generosamente al primo che
passa e così gli permetterei di capire cosa io vedo. Gli chiederei: dimmi, sono grassa? Dimmi, come ti appaio?
Dimmi, cosa vedi? Dimmi, come mi vedi? Dimmi, che cosa sono io?
Mentre gli altri non riescono minimamente a capire il mio tipo di ragionamento, io invece non capisco il loro. Come non fanno a vedere ciò che vedo io? Come fanno a non capirlo? Se, per esempio, i miei occhi vedono una penna, un altro soggetto può dire facilmente lo stesso: vediamo, quindi, entrambi una penna. Ma se i miei occhi vedono invece il grasso che avvolge le mie cosce ed il mio addome con annessi fianchi, come fanno gli altri soggetti invece a non vederlo anche loro? Perchè devo essere proprio io a "vedere male"? E perchè, dunque, non possono essere gli altri ad errare? Cioè, se il mio occhio e la vista di un secondo soggetto, oggettivamente vedono una penna che poggia su un tavolo, e di conseguenza percepiscono che essa esiste, che questa è un dato empirico e che dunque sta nella realtà; perchè allora non può valere anche per quello che vedo del mio corpo?
Un saluto empirico, da Val.
L'ultimo ragionamento davvero non fa una piega. L'ho sempre pensato anche io. Se fosse vero, allora significherebbe che nel mondo c'è tanta ma tanta ipocrisia. " Meglio le donne con le curve", "stai bene tranquilla ma che sei anoressica guarda che non ti devi fare paranoie", "ma dai due chili alla tua età li smaltisci" ecc ecc. Personalmente sono ossessionata dalla forma delle mie gambe, cosce in primis, e non capisco mai se anche gli altri pensano che io sia grassa oppure no, se mi vedono come io mi vedo. A volte vorrei capire cosa significa avere una concezione normale del proprio corpo, in cui non esistono questi forti collegamenti "cibo ingerito= grasso accumulato". La domanda ovviamente è.. Ma esiste davvero questa "normalità" ? In fondo non si potrà mai sapere cosa pensa la gente. Se le persone che ci circondano hanno lo stesso criterio di giudizio. Personalmente sono portata a credere che le ragazze siano maggiormente critiche nei confronti del proprio fisico e di quello delle altre, rispetto ai ragazzi. Ma questo è un dato di fatto, non sempre vero tra l'altro. Comunque, finché non si è perfette ai propri occhi, ben poco ( quasi nulla) conta ciò che gli altri pensano. Finché non mi vedo magra, non sono magra.
RispondiEliminaIl cambiamento è una cosa che spaventa, a volte però come nel mio caso è super necessario..basta essere quello che mi fa schifo..è ora di rinascere!
RispondiEliminaNoi ci guardiamo con occhi diversi, spesso vediamo con una lente d'ingrandimento quello che per gli altri appare come un rotolino di ciccia, cosa ci dobbiamo fare....siamo così!
Gli altri vedono oggettivamente l'esistenza di ciò che non prova emozioni, ma quando sì tratta di altre vite, loro le vivono con le loro emozioni, non con ad esempio le tue. Possono vederlo il grasso sul tuo corpo, loro lo vedono, ma la buona creanza vuole che si sdrammatizzi, che si sminuisca e si porti l'attenzione altrove, così il tuo grasso non c'è più perché fuori smette di essere un problema. Molte persone sono cieche, ma mettiti al posto loro, dissociati, tu come ti vedresti se non fossi più tu?
RispondiEliminaTi abbraccio forte
... o forse semplicemente l'essere umano è qualcosa di più rispetto ad un'estensione nello spazio.
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